La dépêche AFP annonce cela comme une victoire : La Libye annonce la régularisation de 400 immigrés clandestins érythréens.
http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5jI9YpE5KBZi3NmopMzrSawtoe-fg
Mais si on lit cet article de l’unita on voit ce que signifie régularisation : le travail forcé (le travail socialement utile appellent-ils cela…).
http://www.unita.it/news/italia/100920/ministro_libico_raggiunto_accordo_per_eritrei
Les Erythréens prisonniers en Lybie demandent le statut de réfugié politique et ne veulent pas rester travailler en Lybie. Une centaine d’entre eux rappelle qu’ils ont été refoulés par les autorités italiennes.
[Source : rétention_l]
Article en italien :
Accordo beffa per gli eritrei detenuti in Libia
La Libia, nell’occhio del ciclone, per la vicenda umanitaria dei 250 eritrei detenuti e picchiati ogni due ore in un lager libico, tenta di calare il sipario sul caso. È stato raggiunto l’ «accordo di liberazione e residenza in cambio di lavoro» per i rifugiati eritrei rinchiusi nel carcere libico di Brak nei pressi di Seba, nel sud della Libia. Ma per gli eritrei non è per nulla una liberazione. Saranno costretti a restare in Libia, a lavorare nei campi di lavoro del colonnello Gheddafi. Altro che liberazione. Una soluzione per nulla vicina alle richieste degli eritrei. Molti di loro, infatti, sono stati più volte rispediti dall’Italia in Libia, senza che nessuno gli abbia chiesto i documenti o sentito le loro storie. Gli eritrei prigionieri in Libia hanno diritto allo status di rifugiato ed è l’italia il primo paese dove sono sbarcati. Ma il ministro dell’Interno Maroni mette le mani avanti: «L’Italia non è responsabile per gli eritrei».
Cnrmedia ha raggiunto telefonicamente uno dei rifugiati eritrei nel campo di prigionia Braq poco dopo la notizia della loro liberazione da parte del governo libico. «Abbiamo saputo stamattina della nostra liberazione - ha detto il prigioniero eritreo che si fa chiamare Daniel - non vogliamo restare a lavorare in Libia perchè questo paese non ci riconosce lo status di rifugiati politici. E in qualsiasi momento potremmo essere deportati in Eritrea».
«Oltre cento di noi volevano raggiungere l’italia e sono stati respinti dalle autorità italiane - sottolinea -. Questo è bene che gli italiani lo sappiano. Non è vero quello che dice il vostro ministro( Maroni, ndr). Noi chiediamo lo status di rifugiati politici. Siamo stati respinti dalla Guardia costiera italiana senza che ci chiedessero i documenti. Più della metà di noi durante lo scorso anno ha cercato di venire in Italia ma è stata respinta. Poi abbiamo cominciato a girare di prigione in prigione e, alla fine, siamo arrivati ad al Barq. Da quando siamo stati respinti dalle autorità italiane abbiamo affrontato torture e percosse in ogni prigione dove siamo stati rinchiusi fino ad arrivare qui, nel deserto, in una condizione disumana».
Il ministro della Pubblica Sicurezza Libico, Gen. Younis Al Obeidi, secondo quanto riferiscono fonti locali dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom), di tutto questo tace. E riferisce che è stato firmato con il Ministero del Lavoro libico un accordo che consentirà agli eritrei rinchiusi a Brak, di uscire in cambio di «lavoro socialmente utile in diverse shabie (comuni) della Libia». In pratica gli eritrei - che si trovano nel centro di detenzione di Braq da 8 giorni durante i quali hanno denunciato di essere sottoposti a maltrattamenti e torture e hanno rivolto un appello all’Italia e all’Europa affinchè li inseriscano in un programma di «resettlement» per rifugiati politici - resterebbero prigionieri in Libia.
07 luglio 2010